Kiasu e Wei-ji

Trattando di crisis management si  fa spesso riferimento al termine cinese Wei-ji, crisi in cinese e unione dei due ideogrammi di pericolo e opportunità. Ma un altro termine di origine cinese, Kiasu, sebbene meno noto in occidente, è interessante.

Kiasu è un tratto tipico della mentalità degli abitanti di Singapore, molto diffuso sia tra gli uomini d'affari sia nella popolazione in generale. Kiasu, tradotto letteralmente dal dialetto cinese Hokkien (del Fujian provincia cinese), significa “paura di perdere”. Nella versione più negativa trae origine da avidità e promuove l’invidia e l’egoismo e gli viene ascritta da alcuni la mancanza di spirito imprenditoriale fra i Singaporegni, più in generale l’avversione ad assumere rischi.

E' considerato un tratto nazionale di Singapore in effetti il porre l'accento sul non perdere piuttosto che sul vincere o sulla riduzione del rischio di fallimento, piuttosto che sulla lotta per il successo.

Molti osservatori commentano che i manager di Singapore sono così kiasu che non possono lasciare spazio al caso o alle iniziative degli altri, e programmano sempre sulla base dei futuri rischi e cercando di assicurarsi contro di essi.

C'è un “senso permanente di crisi” e “la soluzione di oggi diventa spesso il problema di domani” tra i manager singaporegni. Questo tipo di “senso permanente di crisi” diffuso nell’ isola riflette in qualche misura la precauzione della gente verso inaspettate Wei-ji, che può rappresentare un elemento favorevole alla prevenzione e alla preparazione alle crisi.

In effetti analisi che confrontano il livello di preparazione alla crisi fra aziende di Singapore e di Hong Kong, rivelano come l’approccio al crisis management sia più sviluppato nella prima rispetto alla seconda e come all’interno di Singapore appaiano meglio preparate le aziende nazionali che quelle multinazionali ivi operanti.

La differenza principale fra l’atteggiamento verso il crisis management fra Hong Kong e Singapore è rappresentato dal fatto che circa il 60% delle aziende di Singapore indicano la “identificazione precoce di potenziali crisi” come la loro top priority mentre il 60.6% delle aziende di Hong Kong circoscrivono alla “limitazione dei danni causati dalla crisi” il loro principale obiettivo.

Anche in occidente sarebbe opportuno un po’ di “Kiasu”: molto spesso nella pianificazione delle emergenze e nella preparazione alla gestione di crisi ci si ferma troppo sull’ovvio. Le cronache però mostrano che una crisi “organizzativa” non è solo un disastro come un incidente industriale o di un incidente aereo o limitata a quelli che causano molte vittime o danni ambientali ampiamente diffusi. Una grande varietà di inconvenienti e, soprattutto, il modo in cui le aziende rispondono a tali inconvenienti possono danneggiare anche irreparabilmente la reputazione di una azienda o di un prodotto.

Una eccessiva confidenza nelle misure di sicurezza, nelle proprie capacità, la non approfondita analisi delle possibili reazioni o implicazioni negative di una decisione hanno rappresentato le basi di gravi crisi.